Il sindacato di meritevolezza, diligenza e convenienza economica nel sovraindebitamento

Per accedere ai benefici della legge sul sovraindebitamento occorre possedere sia i requisiti soggettivi ed oggettivi sia superare positivamente un giudizio di “meritevolezza” e, a seconda dei casi, un giudizio definibile di “diligenza” ed uno di “convenienza economica”.

Può essere d’aiuto cercare di definire questi concetti.

Per “meritevolezza” s’intende l’assenza di “atti in frode”. In altre parole, il sovraindebitato non deve aver posto in essere atti (anche omissivi) che hanno cagionato un danno ai creditori (assenza di dolo).

Per “diligenza” s’intende, genericamente, la mancanza della “colpa” nella causa del sovraindebitamento nonché la corretta valutazione, al momento dell’assunzione del debito, delle proprie capacità di fare successivamente fronte al rimborso.

Per “convenienza economica” s’intende l’utilità per i creditori rispetto ad alternative concretamente praticabili.

Come si vedrà, il giudizio di “meritevolezza” e quello di “diligenza” sono sempre rimessi al giudice. Quello di “convenienza economica” é invece rimesso ai creditori ma anche, secondo i casi, all’O.C.C. e al giudice.

Vediamo nel dettaglio per le tre procedure.

Accordo del debitore

Nell’accordo del debitore è previsto, ex art. 9, comma 2, L.S., l’allegazione degli eventuali atti di disposizione compiuti negli ultimi cinque anni al fine di mettere a disposizione del giudice gli elementi, ex art. 10, comma 3, L.S., per accertare la presenza d’iniziative o atti in frode ai creditori e disporre così la revoca del “decreto di ammissione alla procedura” ex art. 10, comma 1, L.S., con il conseguente venir meno di tutti gli effetti protettivi.

Nessun vi è nessun altro sindacato di meritevolezza o diligenza.

Il giudizio sulla convenienza economica è invece rimesso ai creditori che si esprimono con il voto.

Non è prevista che vi sia, come nel piano del consumatore, il giudizio dell’O.C.C. sulla convenienza rispetto all’alternativa liquidatoria proprio perché sono i diretti interessati a valutare tale aspetto.

Per esempio è quindi ammissibile una proposta di accordo meno conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria (anche se in quest’evenienza, in caso di contestazioni, potrebbe non superare il giudizio di “cram down”).

Piano del consumatore

Nel piano del consumatore il sindacato è ancora più incisivo. Il giudice non si limita solo agli “atti in frode” ma valuta anche la “diligenza” del consumatore.

Nel piano infatti, oltre all’elenco degli atti dispositivi, ex art. 9, comma 3 bis, L.S., è prevista la “relazione particolareggiata” dell’O.C.C. che deve contenere:

a) l’indicazione delle cause dell’indebitamento e della diligenza impiegata dal consumatore nell’assumere volontariamente le obbligazioni;

b) l’esposizione delle ragioni dell’incapacità del debitore di adempiere le obbligazioni assunte;

c) il resoconto sulla solvibilità del consumatore negli ultimi cinque anni;

d) l’indicazione dell’eventuale esistenza di atti del debitore impugnati dai creditori;

e) il giudizio sulla completezza e attendibilità della documentazione depositata dal consumatore a corredo della proposta, nonché sulla probabile convenienza del piano rispetto all’alternativa liquidatoria.

Il giudice, dopo il controllo sull’esistenza o meno degli atti in frode ai fini dell’ammissione, per procedere all’omologa deve escludere, ex art. 12 bis, comma 3, L.S., che il consumatore abbia assunto obbligazioni senza la ragionevole prospettiva di poterle adempiere ovvero che non abbia colposamente determinato il sovraindebitamento anche per mezzo di un ricorso al credito non proporzionato alle proprie capacità patrimoniali.

Il piano é quindi omologabile quando la causa dell’indebitamento appare “meritevole” e quando il consumatore è stato “diligente”, ben valutando le proprie capacità di rimborsare il debito che stava assumendo.

Questa disposizione ha fatto molto discutere perché, se interpretata in modo rigido, porta ad escludere dal piano qualsiasi fattispecie fuorché quelle derivanti da fatti sopravvenuti ed imprevedibili.

Quanto al giudizio di “convenienza” (rispetto all’alternativa liquidatoria), per primo si esprime l’Organismo nella propria relazione particolareggiata (ex articolo 9, comma 3 bis, lettera e), L.S.).

Si deve notare che l’alternativa liquidatoria coinvolge tutti i beni disponibili e quindi, in linea generale, un piano dovrebbe prevedere la cessione di ogni elemento libero (o, comunque, la cessione del loro valore equivalente) salvo naturalmente quanto necessario al sovraindebitato per vivere (nell’importo stabilito dal giudice).

I creditori non votano ma possono contestare la convenienza, ed il giudice non ha il potere “d’ufficio” di valutare questo aspetto se non a seguito delle contestazioni.

In tal caso la decisione è rimessa al giudice che “omologa se ritiene che il credito possa essere soddisfatto dall’esecuzione del piano in misura non inferiore all’alternativa liquidatoria”

Quindi, se non vi sono contestazioni, un piano potrebbe essere omologato anche se l’O.C.C. lo ha giudicato “non conveniente” rispetto all’alternativa liquidatoria.

Saranno i creditori, se avranno interesse, a doversi attivare con la “contestazione”.

Liquidazione del patrimonio

Nella liquidazione del patrimonio è previsto, con il richiamo all’art. 9, comma 2, L.S., l’allegazione degli eventuali atti di disposizione compiuti negli ultimi cinque anni.

Ed anche in questo caso il giudice, per ammettere, deve verificare l’assenza d’atti in frode ai creditori.

Non solo. Nella liquidazione è anche prevista la “relazione particolareggiata” dell’OCC che deve contenere:

a) l’indicazione delle cause dell’indebitamento e della diligenza impiegata dal consumatore nell’assumere volontariamente le obbligazioni;

b) l’esposizione delle ragioni dell’incapacità del debitore di adempiere le obbligazioni assunte;

c) il resoconto sulla solvibilità del consumatore negli ultimi cinque anni;

d) l’indicazione dell’eventuale esistenza di atti del debitore impugnati dai creditori.

Ci si è chiesto quale sia il motivo per cui è stata prevista la “relazione particolareggiata”, ed in particolare le lettere a) e b), quando la valutazione della “diligenza” ha un rilievo esplicito solo nella fase dell’esdebitazione, successiva alla chiusura e temporalmente molto lontana (la liquidazione ha una durata minima di quattro anni).

Vi è una sola ragionevole spiegazione: questi elementi sono stati considerati significativi e quindi da far esaminare al giudice già in sede d’ammissione per fornire una migliore rappresentazione della situazione.

E quindi, pur non essendo la “diligenza” un aspetto da valutare ai fini dell’ammissione, il giudice potrebbe comunque prendere in considerazione quanto riportato nella relazione dell’O.C.C. oppure potrebbe intravedere una carenza informativa tale da far ritenere inidonea la stessa relazione e di conseguenza inammissibile la domanda di liquidazione.

Ed in effetti, in questi primi anni d’applicazione della normativa, si assiste ad interventi giurisprudenziali che non si limitano ai soli “atti in frode” ma evidenziano un sindacato ben più incisivo sul contenuto della relazione.

La scelta di inserire tra i documenti necessari per l’ammissione alla liquidazione del patrimonio anche la “relazione particolareggiata”, sta creando notevoli ostacoli a quest’istituto pensato invero come norma residuale.

E’ quindi da accogliere positivamente una modifica dell’impianto normativo che preveda l’istituto della liquidazione del patrimonio come un effettivo caso di chiusura che prescinda dalla “diligenza” ed abbia come unica condizione per l’accesso, e per l’esdebitazione, l’assenza di “colpa grave, malafede o frode del debitore” come previsto dall’art. 9 lettera b) della Legge 19 ottobre 2017 n. 155 (Legge delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi e dell’insolvenza).

Dott. Alessandro Torcini

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